Ho conosciuto Carlo Cordua qualche anno fa a Roma durante una sua esposizione al Museo
Villa Doria Pamphili. Ero appena tornata dall’Africa, dove avevo da poco finito di girare un
documentario sui bambini malati di Aids. Ero svuotata e amareggiata, perché avevo assistito
impotente alla lotta di numerosissimi esseri indifesi contro un destino ineluttabile. Avevo
visto, preso in braccio, cullato bambini soli, abbandonati negli orfanotrofi in attesa della fine.
In Africa ogni minuto un bambino muore per cause legate all’Aids, le riprese sono durate
dieci giorni…Tornai da quel viaggio con una tristezza infinita. Con quel sentimento nel cuore mi recai, trascinata da un’amica, alla mostra di Cordua. Ricordo ancora la sensazione che provai nel vedere i suoi paesaggi dolcissimi, dove il colore, nella sua essenzialità, animava le cose e le
faceva vivere nel gioco delle sfumature e delle dissolvenze, tanto da fare sentire i sospiri, il
vento, i profumi, le essenze dei fiori, della lavanda.
Fui trasportata da un’atmosfera ricca di speranza, coinvolgente, quasi onirica di un tempo
che sfugge, o forse da un richiamo al passato, al vissuto che continua a vivere dentro di noi.
Cordua, con le sue tele, era riuscito a colmare il grande vuoto che si era creato dentro di me,
donandomi una grande sensazione di speranza. Nelle sue opere c’era e c’è la ricerca sofferta di un’emozione antica, di una nostalgia sottile che non rattrista, ma suscita un riempimento dell’anima per un sogno che si confonde con il reale e rivive nei suoi colori, assottigliando il confine tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse.
Margherita Enrico
giornalista – scrittrice
Vive di due topos quanto mai differenziati la ricerca di Carlo Cordua: il mare e la campagna. Entrambi storici contenuti della pittura di paesaggio, specie il primo, consacrato nelle forme più care al cosiddetto Vedutismo.E fin qui, tutto nell’alveo dei canoni tradizionali, anche se sorprende e intriga il fatto che in questi dipinti non si registri mai la presenza dell’uomo. Neppure delineato con quei rapidi tratti, che servono appena ad animare il paesaggio. Manca così non solo l’uomo, ma anche qualsivoglia riferimento alla sua presenza, ai suoi strumenti di lavoro, alle modificazioni che inevitabilmente ha imposto alla natura.Di qui la ricerca di aree non ancora compromesse, o con più realismo di spazi e scorci che – ad onta delle continue aggressioni – conservino ancora un buon indice di verginità. Una selezione che se può dare qualche frutto nell’ambito del paesaggio marino (le coste del basso Tirreno offrono ancora anfratti e grotte, calette e approdi di incontaminata e selvaggia bellezza), risulta quanto mai faticosa, per non dire incerta, se dalla costa ci spostiamo verso l’interno terragno e campagnolo.
Dice Cordua: “Rinuncio con fatica alle infinite prospettive del mare e alla sua incessante vitalità. Perchè, anche nei casi peggiori, il mare conserva sempre una sua purezza. Un campo appena arato, invece, le zolle aperte, la terra sconvolta mi crea un grande smarrimento. Sogno una natura non manomessa, le grandi foreste, il deserto, i ghiacciai. Ma vivo in un’altra realtà, per cui sono alla continua ricerca di piccoli paradisi perduti.
Carlo Franza
C’è chi pensa oggi che la “pittura-pittura” sia tramontata, che un artista faccia ancora uso di techinche tradizionali sia passatista, e che il nuovo in arte debba per forza conicidere con happening, trovate concettuali e usi feticisti di oggetti e immagini pronti a colpire l’opinione pubblica. Niente di più falso, perchè Nicolas Bourriaud, che ha curato l’edizione 2009 dellaTriennale dela Tate Modern di Londra, ha lanciato la proposta, cent’anni dopo il Futurismo, di un rinnovamento dei generi creativi. E insiste su “il tempo” che è l’unico spazio da esplorare, e si fa abitoche avvolge il mondo.Una superba lettura a colori del mondo, segnato e disegnato attraverso paesaggi Italiani ed Europei, ha portato oraCarlo Cordua a consegnarci una bellissima mostra, con quaranta opere tra olii e pastelli. Quella di Cordua è una bella pittura di paesaggio,impreziosita non solo da sensibilità qualitativa fuori dal comune, ma anche dalla padronanza d’uso del pastello, per quella libertà di segni, di toni, di vibrazionie di luce che non possono sfuggire a nessun visitatore, e che sucitarono la stima a un Alberico Sala. Paesaggi di mare e di campagna, scogliere che si articolano tra calette di mare trasparentissimo, delicate colline toscane invasedal silenzio e dai colori: l’artista cattura ogni ritaglio di mondo nei suoi viaggi, e lo ripropone con tagli scenografici più avvincenti. Nulla di stucchevole,neanche una traccia di vedutismo otto-novecentesco: piuttosto, una spazialità fluida e sensibile, in una pasta spolverata lievitante e dolcemente corrosa.Erano anni che non si vedeva una pittura di paesaggio viva e catturante come questa: con Cordua la luce si impasta ai colori, diviene tattile, corporea.
Carlo Franza
“… Al centro del lavoro dell’artista domina l’immagine della natura incontaminata, libera dalla presenza umana e dai suoi interventi distruttivi. Ma il paesaggio di Cordua non scaturisce dalla rappresentazione del reale bensì dalla concatenazione di ricordi ed emozioni che danno vita ad una sorta di moderni “capricci”, in cui le rocce dolomitiche possono essere accostate al mare di Amalfi e Positano. Il pittore napoletano esprime il suo rapporto, carico di nostalgia, con la natura attraverso dipinti in cui domina una luce che logora e dissolve qualsiasi elemento. …”
Massimo Gazzè Riccardi Il Tempo, 2005
“… In una galleria di primissimo piano, “L’indicatore” dei fratelli Purificato,( Roma, Via delle Colonnette), ha presentato una serie di oli e di pastelli un validissimo Napoletano poco più che quarantenne, Carlo Cordua,che ha esposto in prevalenza all’estero e figura in musei stranieri. Si rileva nelle sue creazioni , sempre positivamente sofferte, il coraggio,oggi davvero raro di un ritorno alla natura; che richiama poi a distanza di quasi un secolo, il “Rappel a l’orde” di Dunoyer de Segonzac contro le incipienti abberrazioni di un arte (?!) senz’ anima e quasi sempre senza mestiere . Indubbiamente Cordua rivela invece ambedue le doti che fanno il pittore o lo scultore compiuto, districando, più ancora che dalla approssimazione domenicale, dal rischio dell’anarchia programmata.Intendiamoci: il”ritorno” di cordua non significa per niente un passivo recupero del paesismo tradizionale; se raffiora in qualche modo la lezione di un Bonnard, di un Soffici, di un Tosi, o i canoni della scuola di Pont-Aven o del gruppo o del gruppo “Realtà Poetica” che nell’immediato secondo dopoguerra fece capo a Brianchon, a Legueult, a Oudot, i suoi “umori” sono tuttavia sicuramente moderni. Lo provano il vaporoso cromatismo e la composizione in partiture diagonali di una casa rustica sul clivo giallo, il palpitante impasto di folla di ulivi, le aggressive, misteriose vibrazioni de la Collina rossa, il parallelo accumulo di notazioni empiliche e di indefiniti trasalimenti nel pastello lungo il viottolo. Nelle sue pagine introduttive , Nino D’antonio sottolinea “la distanza dal paesaggio reale”. Da parte mia , ho sempre sostenuto che nel linguaggio d’arte non puo’ esserci vera poesia se l’invenzione non coincide col valore originario dell’etimo latino. Scopro, dietro l’illusoria mimesi, l’autentica consistenza …”
Renato Civello
Secolo d’Italia, 2005
“… Riempie di colore, le sue tele e le lascia cantare attraverso una straordinaria gamma di azzurri, gialli, verdi,.I suoi paesaggi dipinti sono frammenti di poesia. Attimi fuggenti destinati a fissarsi nella memoria e a vivere nel tempo.E’ il mondo inconfondibile di Carlo Cordua: ” Fra Luce e Memoria”. Un mondo mosso, arioso, mutevole. Tutto costruito con luce e colore. Il risultato di un rapporto continuo tra emozione e stile. Particolarmente legato a determinati soggetti, l’artista stupisce per il pregio della novità nella resa finale delle sue composizioni. L’artista conosce bene tutto quello che dipinge. appartiente alla sua vita, alle sue esperienze , alla sua memoria.Riserve infinite di ricordi e stati d’animi che opportunamente la luce risvegla e fa rivivere innanzi ai nostri occhi attarverso il colore formemente espressivo. E se la luce di certi momenti indimenticabili, con una mano, delicata e carezzevole, desta ricordi e sentimenti di un passato anche recente; La memoria, a sua volta , stimolata, guida la luce attraverso i suoi meandri, l’accompagna durante tutto il viaggio pittorico e alla fine se ne impossessa.A volte si ha persino la sensazione di respirare fremiti e stati d’animo degli stessi paesaggi raffigurati.Come se si trattasse di un “loro momento” rimasto impresso nella mente dell’artista.Nelle sue opere come si è detto colpisce innanzitutto il colore di straordinaria bellezza. Un colore non ottenuto d’impeto, ma lungamente elaborato e dosato armoniosamente. Il disegno, quasi sempre in funzione dle colore non risulta, pero’ , mai statico.Il tutto sviluppato attraverso uno stile semplice ed efficace …
“
Loredana Trisante
Metropolis, 2004
… Non saprei esprimere una preferenza fra le visioni campagnole e quelle marine di Cordua. In entrambe c’è grande sensibilità e invenzione anche se al fondo troviamo la grande lezione del paesaggio ottocentesco, così come è stato vissuto e interpretato dai pittori Napoletani. Per me, Francese del sud, è facile cedere all’emozione. Ritrovo nella pittura di Carlo cordua quella luce mediterranea , così cara agli impressionisti che hanno a lungo eletta la mia provenza a loro patria.”Jean Paul Rochard
Les Beaux arts, 2002